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......LA STORIA DELL'ISOLA
La storia di Procida segue nelle sue grandi linee la storia di Napoli che può essere riassunta nei seguenti periodi: greco-romanoVIIsec.a.C.-Vsec.d.C. gotico-bizantino V-VIII secolo ducato autonomo 763-1139 regno normanno svevo 1140-1266 regno angioino aragonese 1266-1503 viceregno spagnolo con appendice austriaca 1503-1734 regno borbonico con la parentesi del decennio francese 1734-1860 Successivamente le vicende di Napoli si inseriscono in quelle dell'Italia unita.
La storia di Procida, complessa come le tante "piccole storie" é per certi aspetti coincidente con il suo monumento storico più importante, l'abbazia di San Michele Arcangelo, che sorge nel più antico nucleo abitato di Procida, la ''Terra Murata'', il punto più alto dell'isola, novanta metri dalla superfice del mare.
Dell'origine
dell'Abbazia non si conosce la data precisa. Il documento più antico che parla
della ''Badia Benedettina'' di Procida risale al 1026 d.c. ed é una pergamena,
proveniente dal prezioso archivio del Monastero di San Gregorio Armeno di Napoli,
nella quale si cita come Abbate un certo Leone. D'altra parte é nel VI secolo
che i Benedettini fondarono il maggior numero di monasteri nell'area campana
e probabilmente anche il monastero procidano va collocato in quel periodo. Altra
ipotesi é che Il monastero venne inizialmente edificato sulla collina di Santa
Margherita, nella parte occidentale di Procida, di fronte all'isolotto di Vivara,
nel luogo più appartato dell'isola, in una posizione poco visibile dal mare.
La conformazione della collina, sulla sommità, era tale da offrire uno spazio
ampio ed esteso, adatto alla coltivazione e perciò ideale alla realizzazione
dell' autonomia e indipendenza, anche economica, della piccola comunità e alla
concretizzazione della fondamentale regola benedettina ''prega e lavora''.
Una
lettera di San Gregorio Magno a Maurenzio Duca di Napoli, ci dà alcune indicazioni
sulle condizioni dell'isola in quel periodo. La lettera chiedeva al duca di
Napoli protezione per un nobile patrizio napoletano, Teodoro, possidente di
Procida, contro la pretesa del Duca di Miseno di una consegna di una certa quantità
di vino come tributo dell'isola. Dalla lettera si può dedurre che Procida é
ben popolata e coltivata; che i patrizi di Napoli vi hanno possedimenti e quindi
vi soggiornano; che é parte del territorio di Napoli, ma l'amministrazione della
giustizia é sottomessa al
Conte
di Miseno.
In
epoca appena successiva Il Ducato di Napoli, a cui Procida apparteneva, con
la nomina del napoletano Basilio, nel 661, iniziava a sottrarsi alla tutela
dell'impero Bizantino al quale era sottomesso da oltre un secolo. L'estensione
del ducato includeva oltre a Capri, Procida e Ischia, anche Ponza e giungeva,
a Nord, fino a Gaeta e a Sud sino ad Amalfi. Gaeta e Amalfi si renderanno indipendenti,
la prima diverrà un Ducato autonomo, la seconda una repubblica marinara.
Il retroterra corrispondeva all'attuale provincia di Napoli e il Ducato era in permanente conflitto con la Longobarda Benevento per il controllo della Liburia, la fertilissima terra tra il lago Patria, la pianura di Caserta e il Nolano.
A partire
dal IX secolo le incursioni dei saraceni, gli arabi sono in Sicilia dall' 827
e si spingono sempre più a Nord,
misero a rischio il territorio del Ducato. I Duchi assunsero verso gli arabi
una politica oscillante: in parte li combattevano, in parte se ne servivano
in funzione antilongonbarda. Nell'813 una flotta di 40 navi attaccò la costa
del Ducato e s'impadronì di Ponza e di Ischia che saccheggiò per tre giorni.
Nell' 845 occuparono Ponza e cercarono di conquistare Gaeta, ma Cesario figlio
del Duca Sergio I li sconfisse con una flotta di Napoli, Sorrento, Amalfi e
Gaeta. Nell' 850 altra imponente invasione che s'impadronì del porto di Miseno
e di tutta l'area circostante che fu per lungo tempo devastata. Napoli non si
limitò a far la pace, nel 870, ma permise che si stanziassero sotto il Vesuvio.
Da qui il detto '' Quattro sono i luoghi della Saracina: Portici, Cremano, la
Torre e Resina''. Anche il Duca di Gaeta offre agli arabi nell'865 il Castello
di Minturno sul Garigliano. Il fatto é che arabi non significava soltanto saccheggio,
ma commercio, soprattutto con l'Oriente di cui essi detenevano gli accessi mediterranei.
Questa alternanza tra pace e guerra non poteva durare e nel 915 sul Garigliano,
attaccati da terra dalle truppe di una lega organizzata da papa Giovanni e formata
da Spoleto, Benevento, Salerno, Gaeta, Napoli, Sorrento, Cuma; e dal mare dalla
flotta di Bisanzio, gli arabi subirono una grave sconfitta, che se non arrestò
definitivamente le loro scorrerie, inabissò il loro sogno di espansione nel
Mezzogiorno d'Italia.
I procidani, all'epoca circa un migliaio,
dediti alla pesca e all'agricoltura, a fronte di questa instabilità permanente
si comportarono come tutti gli insediamenti della costa, in parte pagando i
potenziali assalitori per evitare il saccheggio, e in parte consolidando le
difese naturali dell'isola. Scavarono nel tufo della collina più alta le proprie
case e le circondarono di fossati. Essi, per sicurezza, si limitavano a lavorare
le zone agricole limitrofe, mentre la pesca veniva praticata non oltre le marine
più vicine, le attuali Corricella e Sancio Cattolico. E' ipotesi ragionevole
affermare che fu in quest'epoca che i Benedettini fondarono la ''Badia'' della
"Terra Casata'', in luogo per loro molto più sicuro del convento di Santa
Margherita e da questo momento la storia dell' Abbazia e quella di Procida e
del suo borgo più antico s'intrecciarono strettamente.
Un episodio triste chiuse questo periodo:
Marino, figlio del Duca Giovanni
III, nell'estate del 983, mentre nuotava nelle limpide acque della Chiaia vide
una fanciulla aggredita da un grosso pesce, forse uno squalo; coraggiosamente
si slanciò in suo soccorso, squarciando con il pugnale il ventre del feroce
aggressore, ma un colpo di pinna lo scaraventò sulla spiaggia, morto. Il vecchio
Duca, al ricevere la notizia della morte del figlio, schiantò anch'egli al suolo,
morto.
Procida apparterrà al Ducato di Napoli fino agli inizi del XII secolo, quando il Ducato diverrà parte, come tutto il Sud dell' Italia, del Regno Normanno. I Normanni si trovarono, in Italia Meridionale, ad operare in una situazione molto delicata, perché esistevano in questi luoghi civiltà, tradizioni, popolazioni tra loro assai diverse: bizantini, longobardi, musulmani. Per sua natura il Regno Normanno era un regno feudale fondato sul sistema del feudo franco indivisibile; ma l'originalità della sua struttura consistette nella creazione di un elemento di raccordo diretto tra il sovrano e i sudditi, che assicurò la permanente presenza del potere centrale alla periferia. Nello stesso tempo essi rispettarono norme e consuetitudini locali, mantenendo le preesistenti strutture amministrative, i cui membri divennero a poco a poco di nomina regia, sicchè non poté svilupparsi nell'Italia Meridionale il rigoglio di vita comunale che si ebbe nel resto della penisola, ma i diritti delle città furono comunque tutelati contro le prevaricazioni feudali.
Formalmente i re normanni erano vassali della chiesa, ma essi si comportarono sempre come se non lo fossero. Ruggero II dichiarò che il suo potere gli veniva, senza alcuna mediazione, direttamente da Dio e rivendicò i diritti sovrani, prima del Barbarossa. Assicurata la pace interna e l'unità economica, la vita materiale dell'Italia Meridionale e della Sicilia conobbe un nuovo sviluppo; le varie civiltà che vivevano a contatto (l'italica, la greca, la mussulmana) si fusero armonicamente all'insegna anche di un'ampia tolleranza religiosa che garantì alla monarchia la fedeltà e la collaborazione dei diversi gruppi etnici sottoposti al suo dominio.
Per le pagine di storia si ringrazia ASSOCIAZIONE AZIONE VERDE